lo "stile Bulè"



1       Un buleuta si distingue anzitutto per un’etica rigorosa.
         La molla del nostro impegno è lo sdegno per il degrado morale della vita pubblica. Che credibilità avremmo se anche noi ci comportassimo men che impeccabilmente?

2       La nostra è essenzialmente un’etica laica.
Ferme restando le convinzioni e le consuetudini individuali in tema di spiritualità, le motivazioni del nostro comportamento resteranno comunque estranee ad ogni influsso o considerazione di natura religiosa.

3       Ciò premesso, le connotazioni del nostro modello relazionale sono sostanzialmente affini a quelle di un cristianesimo radicale: altruismo, solidarietà, gentilezza, fair play.

4       Coerentemente con gli assunti della nostra Vision (che presenta qualche affinità con i cosiddetti “governi tecnici”) teniamo a sottolineare l’importanza di valori come competenza e serietà, senza dimenticare che tutto ciò non preclude affatto gli spazi della fantasia e creatività.

5       L’orgoglio dell’appartenenza e la convinzione di essere portatori di un messaggio equo, ragionevole e conveniente per tutti legittimano un atteggiamento di appassionato entusiasmo, purché nei limiti di un rigoroso rispetto delle opinioni altrui.

6       Nel contempo il nostro atteggiamento nell’affrontare concretamente le questioni di rilevanza pubblica sarà improntato a un pacato disinteresse in merito agli esiti del dibattito.
         La rinuncia alla pretesa di imporre le proprie decisioni è il messaggio più forte che ci contraddistingue. Non avrebbe senso lasciarci travolgere da una partecipazione emotiva di dubbia lettura.

7       Non è che non possiamo dar espressione a un legittimo sdegno di fronte a evidenti prevaricazioni o distorsioni, ma anche in questi casi prevarrà l’appello alla ragionevolezza.
          Evitare il ricorso alle scorciatoie della retorica o agli espedienti del contagio emotivo sarà insieme il motivo di orgoglio e arma poderosa per smascherare atteggiamenti affini alla casta anche in chi dichiara di volerla combattere.

8       Arma legittima della ragione è invece l’ironia, purchè adoprata con garbo e con signorile distacco, espungendone ogni sfumatura di livore o aggressività.

9       Senza farne un obbligo, privilegiamo comunque il sorriso come espressione di fiducia negli altri e nel futuro migliore che la vittoria della ragione ci garantirà, nonché del piacere che proviamo ad applicare alle questioni collettive la nostra cultura e la nostra voglia di fare. Il tutto, peraltro, con la massima naturalezza: niente di più lontano da noi del ghigno sforzato di certi protagonisti delle recenti vicende.

10     La nostra gestualità è composta ma comunicativa, easy e rilassata, a sottolineare la priorità dell’esser sé stessi (“parla come magni!”), rispetto alla pretesa di apparir bene (il “fumo negli occhi” della casta), quando si deve far qualcosa di importante.

11    Ferma restando la massima libertà individuale, il nostro abbigliamento privilegerà una disinvolta sobrietà e comodità rispetto ad effetti di rappresentanza.
Scavalcando a sinistra” la tendenza dei maglioni alla Marchionne, potremmo privilegiare anche in occasioni impegnative l’uso di abiti dichiaratamente pratici e informali come le tute ginniche, purché ciò non costituisca fastidio per altri.

12     L’orgoglio della nostra dignità e la consapevolezza della nostra schiva eleganza determinano un costante interesse a rimarcare un forte senso di appartenenza.
         Nei limiti del buon gusto e della sensibilità di ciascuno, intendiamo sottolineare questo spirito in ogni manifestazione, sia pubblica che privata, della nostra attività.

13     Ai fini di quanto sopra acquisiscono particolare rilievo tutti i simboli identitari di Bulè, a cui pertanto, pur evitando ogni forma di invadenza, si darà la massima diffusione:
-    il logo, che accompagna ogni nostra comunicazione scritta o grafica, sia virtuale che materiale;
-    l’inno, le cui note, anche solo accennate, introducono le manifestazioni collettive e le comunicazioni audio;
-    il saluto, che ci rende inconfondibili in mezzo alla gente.

2 commenti:

  1. Buona sera. Vorrei proporre una riflessione personale circa le tematiche dell'identità e dell'appartenenza.
    Leggendo con curiosità "lo stile di Bulè" e "simboli", a tratti divertita dalla scanzonata autorevolezza con cui si propongono modi di vestire, inni e gesti di saluto, mi sono sorti alcuni dubbi che forse possono stimolare il confronto su questo blog così aperto al dialogo.
    Premettendo che l'impressione iniziale che danno certe "norme di comportamento" o certi simboli o inni è quella di un vero e proprio sistema partitico (che il blog sembra invece ripudiare) o forse ancor più banalmente lascia soltanto pensare ad un celarsi dietro il velo di una bandiera che, per carità, è uno dei più semplici modi di darsi un'identità, mi soffermo su due concetti: quelli di UNITÀ e di UNIFORMITÀ.
    Mi sta molto a cuore evidenziare la differenza tra queste due parole di soltanto apparente simile significato.
    L'unità, che è unione, sinergia, fiducia, anche rischio, nella diversità.
    L'uniformità: unione più di significante che di significato; ordine e rigore di pensiero che tende però ad appiattirsi per le sue intrinseche caratteristiche di rigidità.
    L'unità è più naturalmente neghentropica.
    È ordine nel disordine naturale delle cose e delle opinioni. È essenzialmente rispetto e cooperazione, entrambi difficilissimi da raggiungere proprio per l'oggettivo disordine della realtà, per le sue molteplici sfaccettature.
    Mi sono chiesta se, ai fini del messaggio che il blog (ovvero il movimento di pensiero che c'è dietro e le persone che lo compongono) vuole mandare, ci sia un'idea di unità, quindi di identità del singolo nell'appartenenza comune, a favore del bene comune, oppure invece di uniformità come appartenenza del singolo ad un'identità comune... certo sempre per il bene comune.
    Dal modo di approcciare dei contenuti del blog sopra citati (che forse possono sembrare i meno "corposi", ma che banali non sono dato che gli usi e le abitudini a lungo andare spesso diventano i nostri pensieri e la nostra identità) mi è sembrata più preponderante la seconda idea sulla prima.
    Spero di poter avere riscontri presto. Grazie per la vostra attenzione,
    Federica Ammaturo

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    1. Grazie per il coraggio di affrontare un tema negletto dai più. E complimenti per la finezza concettuale con cui hai dibattuto un tema quant'altri mai controvertibile.
      Consentici di replicare chiarendo anzitutto il nostro pensiero. Alla base di tutto c'è il rapporto tra regola e eccezione, tra obbligo e libertà.
      Alcuni obblighi sono indispensabili: provati a imboccare l'autostrada contromano e poi se ne riparla. Peraltro una società libera si differenzia da una dittatura anzitutto per la quantità e l'intensità degli obblighi non indispensabili: dover per forza fare il saluto romano non ha la stessa valenza di non metter sotto i pedoni sulle strisce!
      Orbene, per noi la libertà vien prima di tutto: mai e poi mai lo "stile bulè" potrà essere un obbligo per chicchessia; come tutto il resto del blog, non è che un ballon d'essai onde prefigurare un mezzo per riconoscerci di primo acchito in modo rapido e compiaciuto se e quando ne avremo voglia; nonché, ove venisse il momento, per mostrare a quanti non ci conoscono (e qui entra in gioco quello che oggi è il nostro problema principale) che siamo numerosi e contenti di esserlo.
      Resta peraltro il fatto che la critica sottesa alle tue considerazioni non ci giunge del tutto nuova. Dal momento che appari dotata di indubbio acume, ti andrebbe di suggerirci come migliorare la fruibilità di questa nostra proposta, che siamo i primi a riconoscere piuttosto indigesta in tempi di compiaciuto relativismo etico?

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